Base di partenza è la Valsavarenche, località Pont (1960 m), dove si parcheggia l’auto e si può godere di una magnifica vista sul Grand Etret, alla testata del vallone di Seyvaz, che percorriamo per un tratto, prima di iniziare la salita.
Dal parcheggio si raggiunge il Rifugio Vittorio Emanuele II (2735 m) in 2 ore ca. lungo un comodo sentiero che guadagna progressivamente quota con ampi tornanti lungo il fianco della montagna (già in questa prima tappa potete verificare il vostro allenamento in base al tempo di percorrenza!).
Nella parte alta del percorso, all’uscita dal bosco di larici, specialmente se si sale al rifugio nel tardo pomeriggio, è facile avvistare camosci, stambecchi e marmotte mimetizzati tra le rocce.
Mentre salgo penso che la sopravvivenza di questi animali, in particolare dello stambecco, ora simbolo del Parco Nazionale del Gran Paradiso, è stata garantita dalla grande passione per la caccia del re Vittorio Emanuele II il quale, ammaliato da queste montagne aspre e incontaminate, istituì nel 1856 la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso. Le severe leggi di tutela della fauna da lui imposte, che avevano in realtà l’unico scopo di garantirsi un numero sempre più elevato di capi per le sue battute estive di caccia (che solamente lui era autorizzato ad abbattere!), hanno avuto il grande merito di ripopolare queste montagne. Naturalmente il sentiero che si percorre è uno dei tantissimi fatti aprire dal re per raggiungere comodamente a cavallo i luoghi di abbattimento degli animali.
Nell’ultimo tratto del tracciato il percorso su roccia è facilitato da gradoni artificiali che ci conducono direttamente al Rifugio Vittorio Emanuele II, che ci appare splendente contro il cielo con la sua caratteristica ed elegante struttura metallica dal tetto convesso.

Giunti al rifugio, adagiato in una conca alpina tra massi e detriti con tanto di laghetto e lingue di neve che preludono ai ghiacciai che lo circondano, cerchiamo con lo sguardo la meta della nostra escursione, la vetta del Gran Paradiso, ma constatiamo che da questo punto non è visibile. Possiamo comunque godere della vista della parete nord del Ciarforon ricoperta di neve, illuminata dagli ultimi raggi di sole.
Dopo cena subito a letto (ricordarsi di prenotare per tempo il rifugio!) perchè la nostra guida ha organizzato la partenza ancor prima degli altri: la nostra missione, oltre raggiungere la vetta e ridiscendere al rifugio per l’ora di pranzo così da evitare eventuali cambiamenti del tempo, sarà anche quella di arrivare prima delle numerose cordate che hanno programmato questa stessa ascensione.
Dal Rifugio Vittorio Emanuele II la via normale per risalire il Gran Paradiso solitamente si svolge, nel primo tratto di avvicinamento, sulla morena basale ai piedi del ghiacciaio. Per velocizzare la salita guadagnando ancora tempo e per evitare la prima parte di salita monotona, la nostra guida ci ha proposto un percorso alternativo per raggiungere il ghiacciaio: affrontare sulla destra la ripida parete gradonata che sovrasta il vallone del ghiacciaio del Moncorvè e che costituisce il fianco roccioso del ghiacciaio del Gran Paradiso terminante con la Becca di Moncorvé.
La salita su questa ripida fiancata rocciosa avviene nell’oscurità, in uno scenario quasi magico, tra il nero delle rocce che si confondono con il buio della notte, ma l’arrampicata avviene senza problemi seguendo il nostro esperto accompagnatore.
Superati gli ultimi strappi raggiungiamo il ghiacciaio e allora ci sentiamo veramente arrivati in Paradiso, mentre il cielo si rischiara ed affioriamo dal buio, riuscendo così a distinguere lo stupendo panorama che ci circonda. La valle è ancora in ombra, mentre le cime delle vette sono illuminate dai primi raggi di sole che fanno da preludio ad una magnifica giornata. Siamo in anticipo sulla tabella di marcia e constatiamo di avere poche cordate davanti a noi.
Attrezzati con imbrago, corda, piccozza, ghette e ramponi iniziamo a risalire il ghiacciaio, in alcuni tratti abbastanza ripido, facendo attenzione ai crepacci e ad eventuali tratti ghiacciati fino ad un ampio dorso in più lieve pendenza, la cosiddetta Schiena d’Asino (3700 m circa). Qui si intercetta il Ghiacciaio di Laveciau sulla sinistra, da dove arriva l’altra via normale che parte dal Rifugio Chabot.
Si continua a procedere con pendenza costante verso il Colle della Becca di Moncorvè (3851 m) per poi piegare a sinistra dove ci attende un altro tratto di ripidissima salita (ormai la quota si fa sentire), ma guidati dal passo agile e costante della nostra guida procediamo senza problemi con andatura sostenuta fino alla base della cresta sommitale del Gran Paradiso.
Con ramponi e piccozza superiamo un erto muro di ghiaccio e la rampa finale che conduce finalmente alla cresta sottostante la vetta. Questo è il punto dove occorre prestare più attenzione, che si deve aggirare con un passaggio a strapiombo (un salto di 700 m) sulla vertiginosa parete rocciosa esposta sul Ghiacciaio della Tribolazione e sulla valle di Cogne. Si tratta di superare questi pochi metri risalendo una piccola cengia sospesa nel vuoto, poco più larga di uno scarpone, ma siamo assicurati e con passo fermo affrontiamo l’ultimo passaggio.
Finalmente avvistiamo la Madonnina che ci accoglie sulla vetta da dove lo sguardo non ha più confini e ci rendiamo conto di essere molto più alti delle nuvole che purtroppo ci coprono la vista delle altre montagne simbolo della Val D’Aosta, il Cervino e il Monte Rosa.
Raggiungiamo la vetta in anticipo sulle altre cordate (a parte un giapponese che troviamo intento a leggere il giornale!) e possiamo goderci in pace il nostro Quattromila prima di lasciare il posto agli altri scalatori e ridiscendere a valle portandoci per sempre con noi la soddisfazione di aver raggiunto senza problemi una vetta così ambita, purché affrontata nel rispetto delle regole della montagna.